La Masseria San Vittore:

il carcere “Senza Sbarre”

Nella Masseria San Vittore si respira l’aria incontaminata e fresca dell’Alta Murgia, ai piedi di Castel del Monte, si toccano con mano i sapori autentici della terra, si annusano le fragranze inconfondibili del grano e si gustano i prodotti genuini dell’allevamento, il tutto su otto ettari di superficie.
L’antica masseria fortificata, che un tempo ospitava la comunità per il recupero di tossicodipendenti “Incontro”, è tornata ad essere protagonista di un progetto di riscatto, che vuole dare una nuova possibilità a chi crede di averle perdute tutte.

Proprietà della diocesi pugliese, in passato fiorente masseria della famiglia Azzariti, la Masseria “San Vittore”, versava in stato di completo abbandono ed è oggi, nuovamente, un luogo di speranza, di amore incondizionato e di futuro.
Dispone di stanze per l’accoglienza, di cucina, spazi comuni, uffici, una chiesetta e un piccolo alloggio per i due sacerdoti. Una parte dei fabbricati, poi, viene utilizzata per l’attività lavorativa.

Gli ospiti, coordinati da una équipe socio- educativa e attraverso un lavoro in sinergia di tutti gli operatori, sia del Ministero della giustizia che degli enti locali, curano i campi e gli animali, producono pasta fresca, taralli, pane e focacce cotte a legna, si occupano della manutenzione delle strutture, trasformano i prodotti agricoli e li vendono, si curano del verde e del giardino della chiesa, ma anche delle zone pubbliche nei dintorni di Castel Del Monte.

Partecipano agli eventi, ad eventi formativi e comunitari, come ad esempio quello della celebrazione eucaristica e della preghiera.

Nella Masseria San Vittore, infatti, si attuano tutte le misure alternative al carcere per semiresidenziali, semiliberi, affidati, messi alla prova, in permesso premio, nelle diverse forme di libertà condizionale o vigilata, liberi in sospensione della pena in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza.

Anche quando ci sono buio, solitudine, mormorazione, dobbiamo cogliere i segni della bellezza, della meraviglia, della grandezza.

Nell’orto della riparazione, dove sono stati piantati 20 alberi di ulivo, ognuno dei condannati simbolicamente ha comprato un alberello e il ricavato, il frutto, sarà un segno della necessaria riparazione verso le vittime. È la mentalità che deve cambiare. Più che tenerli in carcere a nutrire idee di morte, dobbiamo alimentare vita, generando mediatori di pace tra le vittime. Il carnefice deve piegarsi, la vittima non deve essere esclusa dal processo né dall’incontro con chi le ha fatto del male. Dobbiamo colmare questa distanza storica, culturale e spirituale.

Don Riccardo Agresti